Necessario per i professionisti acquisire e perfezionare le soft skills

Si tratta di competenze trasversali che possono essere di grande aiuto per adattarsi al cambiamento nei complessi contesti odierni

Emanuela BARRERI

Il mondo del lavoro è in continuo cambiamento e la capacità di adattamento diventa quindi una delle qualità più richieste, anche perché il cambiamento è sempre più veloce e se non riusciamo a trovare un equilibrio adattivo rischiamo di compromettere non solo la nostra vita lavorativa, ma anche la nostra vita privata. Spesso tendiamo a sottovalutare l’importanza delle competenze trasversali, o soft skills, relegandole a un ruolo secondario rispetto alle competenze tecniche. Eppure queste ultime, per quanto fondamentali, non possono essere realmente efficaci senza un adeguato supporto delle prime.
Le soft skills rappresentano quell’insieme di competenze che ci permettono di muoverci con maggiore serenità nei complessi contesti professionali odierni. Contesti in cui ci si sentiamo in equilibrio precario, in cui non sappiamo come orientarci. In cui ci sentiamo sopraffatti dalla quantità di informazioni e dalla velocità in cui ci viene chiesto di svolgere il lavoro.
In queste situazioni di incertezza e cambiamento le soft skills possono essere di grande aiuto, perché attraverso una comunicazione efficace, una migliore gestione delle emozioni, un utilizzo più razionale del tempo, una gestione equilibrata dei conflitti è possibile trovare il modo per affrontare il cambiamento nel mondo del lavoro.
L’adattamento al cambiamento è ormai una sfida costante e quotidiana, perché durante e dopo la pandemia abbiamo dovuto imparare a lavorare da casa, ad adottare nuove tecnologie sempre meno “umane”, a riorganizzare la nostra vita sia personale che professionale che si svolge a ritmi spesso difficilmente insostenibili.
In questo contesto la flessibilità mentale, il pensiero critico e la capacità di gestire lo stress stanno giocando un ruolo cruciale.
Al professionista viene chiesto di essere resiliente,
sempre pronto a trovare nuove soluzioni e modalità per portare avanti il proprio lavoro, come una canna di bambù che si piega sotto la spinta del vento senza mai spezzarsi.
Questa continua richiesta di perfezione ed efficienza comporta però un elevato impegno emotivo, che fa sì che spesso il successo lavorativo non dipenda solo da una buona pianificazione, ma anche dalla capacità di gestione delle dinamiche emozionali individuali e di coloro che sono intorno a noi. Emozioni come la paura, la rabbia o la frustrazione possono diventare ostacoli significativi se non riconosciute e affrontate.
In questi momenti di grandi cambiamenti e di confini liquidi essere consapevoli delle proprie emozioni e di quelle degli altri ci permette di lavorare in un clima di lavoro più sereno e produttivo, meno stressante perché più autentico.

Cruciali flessibilità mentale, pensiero critico e gestione dello stress

Le soft skills ci aiutano a entrare in contatto in modo leggero con queste componenti emozionali, fungendo quindi da ponte tra la competenza tecnica e la capacità di creare valore relazionale, aiutandoci a entrare in connessione con quegli aspetti umani meno visibili ma altrettanto – se non più – importanti degli aspetti tecnici.
Per noi commercialisti e professionisti, l’acquisizione e il continuo perfezionamento delle soft skills non sono solo un’opzione, ma una necessità.
Non si tratta solo di sopravvivere al cambiamento, ma di prosperare in esso, trasformando ogni crisi in un’opportunità di crescita personale e professionale.
È un viaggio che richiede impegno e auto-riflessione, ma che promette grandi ricompense per chi è disposto a intraprenderlo.

Investire tempo ed energie in relazioni di qualità è utile per la professione

La collaborazione tra colleghi fondata su rispetto reciproco e fiducia è un modo di costruire una reputazione solida nella comunità professionale


Emanuela BARRERI

Stare con le altre persone ci fare stare bene, anche se talvolta non ne siamo consapevoli. Presi da mille impegni e dalle troppe scadenze spesso trascuriamo gli affetti e le relazioni. Oppure non ci relazioniamo con gli altri perché preferiamo stare da soli, perché per l’educazione che abbiamo ricevuto abbiamo paura di disturbare o di essere di troppo. O al contrario frequentiamo le altre persone per obbligo, perché riteniamo che sia necessario ed indispensabile farci vedere in determinati ambienti, essere in specifici luoghi e con specifiche persone.
Avere buone e autentiche relazioni con gli altri è però la premessa per una vita serena e equilibrata, sia in ambito privato che in ambito professionale.
Le relazioni autentiche ci fanno stare bene perché siamo “animali sociali”. Il rapporto con le altre persone ci gratifica e ci fa sentire parte di un gruppo, esprime e valorizza la nostra essenza umana e il nostro senso di appartenenza.
Questo accade indipendentemente dalle nostre caratteristiche di personalità, perché non è vero che chi è introverso non ha relazioni. Chi è più chiuso e ha maggiori difficoltà ad esporsi con gli altri ha sicuramente meno relazioni, ma molto probabilmente ha delle relazioni più solide, durature e sincere. Chi è estroverso e non ha difficoltà a relazionarsi con gli altri ha all’apparenza molte più relazioni che però potrebbero essere più superficiali e transitorie, meno stabili.
Indipendentemente dal nostro stile relazionale tendiamo però spesso a sottovalutare il valore delle relazioni, perché le consideriamo secondarie rispetto alle competenze tecniche o alle scadenze quotidiane.
Invece, le relazioni possono rivelarsi il vero motore del nostro lavoro, sia all’interno degli studi che nel rapporto con i clienti, con i fornitori e con tutti coloro con cui interagiamo quotidianamente.
Attraverso la relazione e la connessione con gli altri abbiamo la possibilità di semplificare il nostro agire quotidiano, di far sì che le difficoltà vengano condivise e che diventino pertanto più leggere.
Abbiamo la possibilità di creare un valore condiviso che ci aiuta ad affrontare la complessità del nostro lavoro.
Sotto questo aspetto sono particolarmente importanti le relazioni con i colleghi, perché attraverso i rapporti con chi fa il nostro stesso lavoro e affronta le medesime difficoltà rafforziamo il nostro senso di appartenenza e ci sentiamo meno soli.
Il lavoro del commercialista, per sua natura, è profondamente individuale. L’attenzione al dettaglio e la responsabilità personale sono elementi imprescindibili, sui quali si basa la professionalità.
Però questo non vuol dire che debba essere un lavoro solitario, anzi, la collaborazione con colleghi può non solo alleggerire il carico di responsabilità, ma anche arricchire il punto di vista professionale.
Aprirsi agli altri non vuol dire delegare la propria autorità, bensì condividere difficoltà, soluzioni e obiettivi.
E questo sia che si eserciti la professione in forma associata sia che la si eserciti in forma individuale.
È infatti sempre più frequente la collaborazione tra colleghi che non necessariamente sono associati tra di loro o condividono lo studio, ma che si sono specializzati in determinati settori e collaborano con altri colleghi, indirizzandosi reciprocamente i clienti o condividendoli, occupandosi ciascuno di un aspetto diverso, segnalando un cliente a un collega quando il caso non rientra nelle proprie competenze e accettando con gratitudine una segnalazione ricevuta nonché individuando in questi rapporti di colleganza una risorsa preziosa e non una sterile competizione basata spesso sulla paura che il collega “porti via il cliente”.

Possibile affrontare la complessità del lavoro con maggiore serenità

Chi riesce a lavorare con questa modalità non sarà mai solo, anche se esercita la professione in modo individuale e non è associato. È un modo di collaborare con gli altri che nasce sul rispetto reciproco, sulla fiducia, al di fuori della competizione. È un modo di costruire una reputazione solida nella comunità professionale che consente di affrontare la complessità del lavoro con maggiore serenità.
Investire tempo ed energia nelle relazioni non è solo desiderabile, ma necessario. In un mondo sempre più complesso e interconnesso, saper costruire rapporti di qualità è una competenza da coltivare.
Il tempo speso per coltivarle oggi può trasformarsi in un capitale domani.

Le soft skills migliorano la relazione dei professionisti con i clienti

Sono abilità che aiutano a vivere meglio il rapporto con la professione, favorendo la creazione di un ambiente di lavoro più sereno e produttivo.


Negli ultimi anni il lavoro del commercialista è cambiato enormemente e in modo molto veloce. Se in passato era sufficiente avere un buon bagaglio di informazioni tecniche, improntato per lo più sulla conoscenza delle normative fiscali, ora non è più così. Oggi è necessario avere competenze tecniche in molte altre materie, che spaziano dalla sostenibilità al
controllo di gestione, dalla crisi d’impresa al business plan, dalla consulenza finanziaria a tanto altro.
E in quel “tanto altro” ci sono sicuramente, o forse sarebbe meglio dire ci sono soprattutto, le soft skills, quelle abilità trasversali che spesso passano in secondo piano rispetto alle capacità tecniche ma che sono fondamentali per sopravvivere nella professione e riuscire a stare al passo con i tempi.
Oggi il cliente chiede molto di più della sola competenza tecnica. Vuole sentirsi compreso e ascoltato, vuole un consulente che sia in grado di tradurre la complessità fiscale in consigli pratici e attuabili. Spesso il nostro cliente vorrebbe delegarci totalmente il problema e non pensarci proprio più, in un meccanismo naturale di fuga da un qualcosa che è incomprensibile, indecifrabile, difficile. Tutto quello che è legato al denaro, alle tasse e ai pagamenti crea ansia, per cui il nostro cliente vorrebbe scappare e lasciare a noi la patata bollente. E spesso accade così, noi accogliamo l’ansia del cliente e la gestiamo, restituendogli quello che è in grado di sopportare, talvolta anche solo l’F24 con l’importo da pagare. O almeno dovrebbe essere così, perché se ci facciamo carico delle ansie dei nostri clienti siamo noi a entrare in crisi, con ripercussioni sulla nostra vita privata e su chi ci sta accanto, smettendo di essere di aiuto per i nostri clienti.
Ed è proprio in questo rapporto che entrano in gioco le soft skills, quell’ampio ventaglio di abilità in cui sono incluse la capacità di comunicare efficacemente, la gestione dello stress, la leadership, la capacità di lavorare in team, la flessibilità al cambiamento, la gestione dei conflitti, la capacità di problem solving e tanto altro.

Queste competenze non solo migliorano la relazione con i clienti, ma ci aiutano a vivere meglio il nostro rapporto con la professione, aiutandoci a vedere le co- se da un altro punto di vista e favorendo la creazione di un ambiente di lavoro più sereno e produttivo.
Coltivare le nostre soft skills, prendendo coscienza di
come siamo fatti, dei nostri punti deboli ma anche delle nostre potenzialità può avere un ruolo fondamentale sul nostro benessere e sul benessere delle persone che ci stanno accanto, sia sul lavoro che nella via privata.
Per migliorare le nostre soft skills è necessario innanzitutto dedicare un po’ di tempo all’osservare noi stessi e le nostre emozioni, per poi capire e comprendere quelle degli altri, mettendoci in discussione e riflettendo sul nostro modo di agire e di relazionarci con gli altri. Per alcuni le soft skills sono competenze innate, per altri vanno invece attivate o semplicemente riattivate perché negli anni è molto facile perdere quelle intuizioni e sensibilità che abbiamo quando siamo bambini, senza i vincoli e le sovrastrutture che impone la vita adulta.

Competenze strettamente connesse al grado di intelligenza emotiva

Le soft skills sono strettamente connesse al nostro grado di intelligenza emotiva e possono essere accresciute e affinate col tempo, attraverso l’impegno e la voglia di scoprire – o riscoprire – cose nuove, attraverso il mettersi in gioco e riscoprendo la nostra autostima, spesso minata da adempimenti ripetitivi, inutili e incomprensibili, deprimenti non solo per i nostri clienti ma anche per noi stessi.
E possono fare la differenza, rappresentare quell’elemento distintivo tra un professionista molto preparato e un altro professionista, altrettanto preparato, ma anche in grado di relazionarsi efficacemente con i clienti e con chi gli sta accanto, in un ambiente più consapevole e sereno.

Per funzionare, la comunicazione richiede attenzione ed ascolto dell’altro

EUTEKNE PROFESSIONI

Per funzionare, la comunicazione richiede attenzione e ascolto dell’altro

Comunicare bene permette di evitare tensioni e conflitti che sono fonte di costi affettivi ed economici e fa risparmiare tempo

Emanuela BARRERI

 

Una cattiva comunicazione può causare incomprensioni e inefficienze, che comportano costi affettivi ed economici.

Nelle organizzazioni complesse in cui viviamo prendersi cura della comunicazione sta diventando una priorità, perché una comunicazione non efficace causa inevitabilmente costi legati a equivoci e malintesi, a lavori da rifare, a errori, a clienti insoddisfatti e anche al nascere di conflitti. Anzi, alla base dei conflitti c’è molto spesso un problema di comunicazione.

Molte volte non ci rendiamo conto dell’importanza del comunicare perché per la fretta o per mancanza di attenzione pensiamo che il nostro compito si esaurisca nel dire quello che vogliamo dire, indipendentemente da che cosa l’altra persona abbia compreso. E in ogni caso pensiamo che se l’altra persona non è riuscita a comprendere quello che volevamo dire è colpa sua, certamente non nostra.

La comunicazione invece non si esaurisce nel momento in cui esprimiamo il nostro pensiero, ma richiede che l’altra persona, quella con la quale stiamo parlando, comprenda quello che vogliamo dire.

La comunicazione è quindi un processo circolare che richiede attenzione e ascolto, che non termina nel momento in cui abbiamo finito di parlare. Spesso confondiamo la comunicazione col dare informazioni, crediamo che sia sufficiente dire le cose lasciando all’altra persona il compito e la responsabilità di comprendere cosa abbiamo detto.

Nella comunicazione l’ascolto è invece parte integrante e fondamentale del processo: non solo il semplice ascolto, ma l’ascolto “attivo”, quel sentire l’altro al di là delle singole parole. È necessario cogliere il tono della voce, la gestualità, la postura del corpo, le pause, i si- lenzi e anche stare in ascolto delle parti emozionali, stabilire una connessione con l’altro che ci consenta di cogliere che cosa ha veramente percepito.

Non è magia, ma è saper “sentire” le altre persone, cogliendo quello che è veramente stato recepito rispetto a quello che volevamo dire, cogliendo le sfumature de- gli sguardi, del detto e del non detto.

Ci sono volte in cui non ascoltiamo l’altro perché siamo concentrati solo sul nostro pensiero. Siamo così convinti di avere ragione che non abbiamo bisogno di sapere se il nostro messaggio è arrivato. Oppure non ascoltiamo l’altro perché pensiamo di sapere già che cosa ne pensa e che cosa ci dirà.

L’ascolto “attivo” è parte integrante del processo

Spesso pensiamo di comunicare e invece stiamo parlando solo con noi stessi, stiamo ripetendo le cose per noi, che ci sia o non ci sia l’altra persona è del tutto ininfluente. Magari sta cercando di interromperci ma noi non lo ascoltiamo, siamo concentrati su di noi e proseguiamo diritto, continuando a parlare.

Quando invece ci rendiamo conto che forse l’altra per- sona non ha capito ricominciamo da capo e ripetiamo senza cambiare una virgola quello che abbiamo detto. Uno degli errori più frequenti nel comunicare è infatti il ripetere le cose dette con le stesse identiche parole, la stessa intonazione della voce, lo stesso ritmo. Ripetiamo spazientiti nella convinzione che sia l’altra per- sona che non ci capisca. E molto probabilmente è proprio così, l’altro non ci ha capito, ma magari perché siamo noi che ci stiamo arroccando su una posizione rigida e vogliamo a tutti i costi che l’altro ci dia ragione, che sia d’accordo con il nostro pensiero che è quel- lo giusto, invece di accettare che l’altro abbia un suo pensiero diverso dal nostro.

Molto spesso alla base di una comunicazione poco efficace vi è una questione di tempo, non dedichiamo il giusto tempo alla comunicazione. Siamo già proiettati su quello che dobbiamo fare dopo, su un’altra urgenza, sul finire il nostro lavoro e non ci fermiamo a verifica- re se il nostro messaggio è arrivato all’altro come avremmo voluto.

Altrettanto  spesso  omettiamo  informazioni,  non  ci mettiamo “nei panni dell’altro” e crediamo che gli altri abbiano già tutto chiaro, mentre non sempre quello che è chiaro e semplice per noi lo è anche per gli altri. Comunicare bene richiede tempo, tempo che però è ben speso perché ci farà risparmiare tempo dopo, facendoci evitare di iniziare percorsi sbagliati perché l’altro non aveva capito che cosa volevamo dire o anche perché per la nostra fretta abbiamo omesso delle informazioni, e tenendoci lontani da tensioni e conflitti che sono fonte di costi affettivi ed economici, che ci portano lontano dal nostro benessere e dal benessere delle nostre organizzazioni.

 

Eutekne info – Sabato 3 febbraio 2024 – RIPRODUZIONE VIETATA

E’ necessario investire tempo per avere tempo

EUTEKNE PROFESSIONI

È necessario investire tempo per avere tempo

Bisogna imporsi di fermarsi, fare ordine mentale e fisico, saper ordinare le priorità e semplificare il più possibile

 

Emanuela BARRERI

 

Sembra un paradosso ma non lo è, il primo passo da fare per avere del tempo da destinare a noi stessi è investire del tempo finalizzato a questo scopo. La fatica nel farlo è tanta perché ci sembra di sprecare tempo, dato che ne abbiamo poco. Quindi è molto più facile continuare a fare le cose come le abbiamo sempre fatte, continuando con le stesse abitudini e  gli stessi gesti, senza investire tempo che non abbiamo.

Anche leggere questo breve  articolo  può  sembrarci uno spreco di tempo.

E invece è molto importante fermarsi un momento e guardare il tempo che è passato e le cose che abbiamo fatto, come abbiamo usato il nostro tempo fino a oggi. Anche per guardare al futuro, a cosa faremo, come lo faremo e quando lo faremo.

L’inizio dell’anno è il momento ideale per fare questo

esercizio e se cominciamo così potremmo anche abituarci a farlo con maggiore assiduità, in modo che in- vestire tempo per avere tempo diventi un’abitudine settimanale o giornaliera. Si può iniziare in qualsiasi momento, basta iniziare.

Perché il tempo ha un valore che è sicuramente economico, ma non soltanto.

Ogni ora del nostro tempo ha un valore che può e deve essere quantificato economicamente. È importante avere la consapevolezza del nostro valore economico, sia esso 20 o 50 o 100 o 200 euro o ancora di più.

Ma il valore del tempo non è quantificabile solo in questi termini, vi sono momenti che non hanno un valore quantificabile economicamente.

Sono quei momenti che se persi non tornano più, che ci sono una volta sola. Quei momenti particolari, legati a noi stessi e a chi ci sta accanto, agli affetti e alle emozioni che non hanno una quantificazione economica o, se anche ce l’hanno, è una quantificazione che non corrisponde al valore affettivo.

Il tempo che passiamo con le persone che ci sono care non vale i 20 o 50 o 100 o 200 euro di prima, ha un valore affettivo che non corrisponde a questa scala di valori.

Investire del tempo per avere questo tempo è quindi un investimento che ha un grande rendimento, talvolta quantificabile economicamente e talvolta no, ma di enorme valore in ogni caso.

Innanzitutto bisogna imporsi, appunto, di fermarsi.

Poi fare ordine, mentale e fisico. Ordinare gli archivi cartacei ma anche il desktop e le cartelle sul computer. Ordinare i nostri pensieri, meditare per fare pulizia nella nostra mente ed avere le idee più chiare e più nitide perché abbiamo tolto la polvere, eliminato i pensieri inutili e dispersivi.

Dopo aver fatto ordine è necessario saper ordinare le priorità, capire cosa fare prima e cosa fare dopo e non solo, anche lasciar andare e abbandonare quello che è superfluo, che non è necessario fare.

Semplificare il  più  possibile.  Viviamo  in  un  mondo complesso, pieno di stimoli e di parole, oggetti, cose da fare, performance da raggiungere. Chiediamoci se abbiamo veramente bisogno di tutto questo.

Organizzare il proprio tempo e le cose che dobbiamo fare è spesso una questione emotiva. Tendiamo a non fare o a fare per ultime le cose che riteniamo di non saper fare o che pensiamo difficili, tenendocele nella mente come un tarlo sotterraneo che è lì e che non se ne va.

Riconoscere le emozioni associate alla gestione del tempo è fondamentale per riuscire a cambiare la nostra gestione. Prendere consapevolezza del ruolo delle aspettative degli altri, del peso che diamo a cosa gli al- tri pensano di noi può sicuramente aiutarci a cambiare le nostre abitudini.

Organizzare il proprio tempo è spesso una questione emotiva

Alla base del nostro rapporto con il tempo vi sono sicuramente le nostre esperienze passate, l’educazione che abbiamo ricevuto, le nostre caratteristiche di personalità che ci portano a pensare che i nostri comporta- menti siano automatici e impossibili da modificare.

Non è così, c’è sempre la possibilità – se lo si vuole – di osservarsi e capire quale è l’influenza di queste componenti sul nostro rapporto col tempo, di comprendere la componente emozionale delle nostre azioni, del per- ché ad esempio momenti piacevoli volino via mentre momenti faticosi durino un’eternità.

C’è sempre la possibilità di vivere meglio, di cambiare abitudini, di avere più tempo per noi e per nostri cari.

Però per cambiare è necessario partire con un’azione, con una determinazione che si trasformi in qualcosa di concreto e fattivo. Investire del tempo per avere del tempo, anche se può sembrare un paradosso.

 

Eutekne info – Sabato 27 gennaio 2024 – RIPRODUZIONE VIETATA

Bisogna imparare a dire di no, anche per non lavorare gratuitamente

EUTEKNE PROFESSIONI

Bisogna imparare a dire di no, anche per non lavorare gratuitamente

Significa scegliere a chi dedicare il proprio tempo e le proprie competenze, consapevolmente

 

Emanuela BARRERI

 

Dire di no ci fa spesso sentire in colpa, inadeguati e a disagio.

Abbiamo paura di non riuscire a soddisfare le aspettative altrui, di non essere più amati o peggio di essere considerati cattivi. Ci è stato insegnato, fin da quando eravamo piccoli, che è buono e giusto essere disponibili verso l’altro e che non dobbiamo essere egoisti, ma al contrario altruisti. E che quindi è buono e giusto es- sere sempre disponibili agli altri, in modo che gli altri ci accettino e ci vogliano bene.

Questa disponibilità verso l’altro può essere sicura- mente fonte di gratificazione, ma  allo  stesso  tempo può anche essere frustrante, perché dentro di noi rimane quel senso di insoddisfazione o anche di rabbia per non essere stati del tutto autentici. Per aver fatto quello che volevano gli altri mettendo noi in secondo piano. L’aver fatto qualcosa voluto da un altro ci può la- sciare quel retrogusto di delusione, di non compiutezza, quella sensazione di “e se invece..”.

Se poi va male è ancora peggio. Ci pentiamo delle scelte e diciamo a noi stessi “dovevo fare come dicevo io”. Dobbiamo evitare la trappola del farci accettare per quello che facciamo invece di farci accettare per quel- lo che siamo, senza paure di essere inadeguati e di farci vedere fragili.

Il saper mettere confini tra noi e gli altri è importante

anche per conoscerci meglio, per lavorare di più su di noi e talvolta anche per proteggerci da furti di idee e prevaricazioni. Può accadere che l’altro ci voglia solo per interessi suoi, che sia centrato solo su sé stesso e che ci usi, non importa se consapevolmente o inconsapevolmente.

Dire di no vuole anche dire non lavorare gratuitamente, a meno che non sia una scelta libera e consapevole. Scegliere noi a chi dedicare il nostro tempo e le nostre competenze, consapevolmente. Vuol dire scegliere se fare prestazioni gratuite e nei confronti di chi. Le prestazioni gratuite sono un costo, ogni ora del nostro tempo costa.

Quando facciamo una prestazione gratuita in realtà stiamo regalando del denaro, non è solo una prestazione gratuita, è un dono all’altro che ha un valore quantificabile anche in termini economici.

E quel tempo, probabilmente, avremmo potuto usarlo meglio, magari per fare meglio un altro lavoro, per programmare nuove attività, per stare di più con i nostri collaboratori.

O anche, semplicemente, per avere più tempo per noi. Perché dire di no vuole anche dire non lavorare sempre e comunque, con ritmi che ci tolgono energie lasciandoci sfiniti nel corpo e nella mente.

La necessità di sentirci accettati e voluti è spesso legata a sentimenti di insicurezza e bassa autostima, che ci portano a pensare che gli altri valgano più di noi.

L’approccio dovrebbe invece essere l’opposto, essere consapevoli del nostro valore, rispettare in primo luogo noi stessi e dire di no a chi non ci stima, a coloro che ci usano non riconoscendo il nostro valore.

Un altro motivo che ci può portare a compiacere gli altri può anche essere il voler evitare a tutti i costi i conflitti, perché siamo convinti che facendo quello che gli altri desiderano eviteremo sicuramente qualsiasi for- ma di scontro, dimenticandoci che il futuro non è prevedibile, per cui non necessariamente a fronte di un nostro no ci sarà uno scontro o un conflitto. O anche

che il conflitto non è sempre negativo, anzi, può far nascere nuove energie e nuovi scenari. O ancora, che a fronte di un nostro no potrebbe semplicemente segui- re un confronto e non uno scontro.

È anche importante avere la forza di dire dei no prima di trovarsi invischiati in situazioni da cui non riusciamo più a uscire, perché abbiamo evitato o procrastina- to scelte che ci avrebbero impedito di entrare in circoli viziosi che hanno tutte le sembianze di sabbie mobili da cui è difficile uscire.

In questi casi, una volta capito l’errore iniziale, è fonda- mentale uscire subito fuori dalla spirale in cui si è entrati, perché più tempo passa e più è difficile liberarsi da impegni e incombenze che ci siamo accollati.

Dietro ai nostri no ci può anche essere la paura di perdere opportunità future, magari lavorative, e quindi di perdere soldi. Il tema del denaro è strettamente legato al tema della nostra sopravvivenza, perché col denaro compriamo il cibo che ci consente di vivere. Questa paura può essere inconscia, non razionale, e può indi- rizzarci, inconsapevolmente, ad azioni di cui ci penti- remo.

Perché dire dei no è avere il coraggio di dire dei sì a noi stessi, riconoscendo la nostra bravura. Credendo in noi stessi.

Il primo passo è quello di riuscire a vederci nelle nostre dinamiche interiori e dire di no quando lo riteniamo giusto, esprimendo il nostro parere senza offendere o aggredire l’altro, aspettando il momento giusto, quando l’altro è in grado di accettare la nostra posizione e non si sente attaccato.

Per dire sì a noi stessi, volendoci bene e riconoscendo il nostro valore.

Senza dimenticare che dire di no può essere anche utile gli altri.

 

Eutekne info – Martedì 9 maggio 2023 – RIPRODUZIONE VIETATA